Prospettiva fragile

Cambiamenti, mutazioni, apparente spostamento come piccola danza, leggero volteggio per ingannarsi un po’, consolarsi un po’, gestirsi con un sorriso, inchino gentile e dimenticare esaltando, confondere fatti con intenzioni e parole, parole, parole, nervoso incedere, normale protrarsi.
Manifestazione di forza, urlo dell’apparenza e ci sta, ci sta tutto in noi uomini, in animale cosmologia, cosmogonia innegabile nel vano tentativo del patetico annullare stato e ragione di forza che ha demolito le fondamenta della terra per emergere ed imperare, essere definiti, definire esserci e basta guardare, serve osservare, conoscere nel supremo atto di forza quale e’ alzarsi e restare, immobili, sguardo duro ed acuminato, respiro lento, torvo pensiero, morte come vita, fuoco come coperta, protezione, guanciale.
Poi sono parole perche’ soddisfazione e’ altra, non sguaiato e plateale gesto, semmai piuma che scivola e incanta, ipnotico navigare, garbata carezza, quasi soffio, peso specifico d’intenzione che diviene moto a luogo, stazione nella tranquilla pianura della gratificazione, nessun rendere conto, piuma di pavone che ispira e segna.
Solco per dividere, spazio che delinea ma invero un confine a volte allarga visione del mondo, delle situazioni, delle persone come se inscrivere fosse dar vita a realta’ altrimenti perdute ed inutilmente sbandate nel caos dell’anonimo esistere e mentre si tratteggia si crea, si plasma in atto supremo dell’umana fantasia.
Lentamente si contrae il bisogno, s’affievolisce l’entusiasmo, respiro ancora veloce ma nell’adrenalina che defluisce risale benefica stanchezza, appagamento e fievole vento caldo tra i capelli, nell’istante del sonno un’assenza di pensieri che rende felici perche’ felicita’ e’ smarrire se’ stessi nel vortice pacifico della certezza, nella stanza senza specchi nella quale il dentro e il fuori coincidono, si sfiorano, si amano.
I, I’m moving through time
Being human by design
Life
Unfulfilled but divine
Never ending

Gente e neon

Vedere non e’ alternare di forme d’onda, frequenze delimitate e definite, spettri di realta’ sempre che realta’ sia cio’ che si osserva, colori e forme in costante conflitto quando dovrebbero concorrere insieme in unica gara, in solo progetto, magica definizione di cio’ che potrebbe non prescindere dall’esistere.
Certi giorni i volti hanno il colore dei loro pensieri e i silenzi di ognuno sono sorrisi, smorfie, occhi bassi e tristi, voglia di nuotare, desiderio di un po’ d’affetto, di una carezza da troppo tempo assente e dimenticata.
Certi giorni i volti viaggiano nel tempo e i bambini divengono uomini, ragazze da occhi grandi e capelli sciolti come scintille sempre piu’ fioche, tuoni progressivamente lontani, sempre piu’ lontani.
Risate tese come un urlo e indifferente una pena profonda mi assale, pugno di pietra al centro esatto dello stomaco e mi sento confuso, mi sento fortunato, mi sento infelice, immagino, si immagino, certo immagino eppure non stacco i pensieri da terra, gelo nel sudore copioso che avvolge collo e spalle, fuoco nelle vene, magma che consuma giorni troppo, troppo veloci e nel male colpa d’indifferenza, egoismo di maledizione indotto, orrenda piaga scolpita sulle palpebre, sulla punta delle dita, imperdonabile voglia di non essere solo in stanze mai abbastanza grandi, mai troppo rumorose e in quello spazio, in quel rumore io vedo, ascolto, vorrei fare qualcosa, potrei realizzare qualunque desiderio non fossero pezzi di plastica colorati che tra le mani giacciono inermi, confusi, inutili.
E’ la dolcezza dell’inevitabile che s’avvicina strisciando, veleno di vivere che goccia su goccia s’accumula e toglie lampi dalle nubi, raggi da stelle, trucchi di clown che ha smesso di divertire, patetica maschera colma di rancore e anni passati mentre cresce bisogno di bugia gentile, tepore da mescolare, confondere, male d’espiare, regalo da porgere, perdono per dono.
Si dice in giro farfallina che l’anima non hai
e come fai piccolina a dire si o no
non pensare che sia pazzo se sto a parlar con te
e’ che son solo sorellina cos

Natalia

M: Vedo che stai uscendo…
S: Si vado, vado in citta’, poi non so, non ho deciso. E’ da tanto che voglio andarci ma tu odi la citta’ e questo mi rattrista. Ricordo che un tempo venivi sempre con me e qualche volta si riusciva persino a divertirsi. C’era quel negozio con la vetrina che brillava come una grande casa felice, ricordi? No, non ricordi. Tu non ami piu’ andare in citta’, forse non l’hai mai amata davvero. Magari lo facevi solo per farmi contenta, ma erano altri tempi, ero giovane allora e non ci facevo caso, ma facevo caso alle vetrine, alle luci, luci di citta’, luci di case felici.
M: Non e’ vero, mi piaceva veramente la citta’, mi piace anche ora ma mi sento stanco e non ho voglia di uscire.
S: Non c’e’ bisogno, vado io, vado sola. Da bambina odiavo quelle tediose passeggiate in pieno centro con mia madre, lo ricordo ancora. Te la ricordi mia madre? Quanto le piaceva girare il centro, in lungo e in largo ma lei amava i vestiti non le luci. Io le luci e lei i vestiti, forse e’ per questo che non andavo volentieri con lei, no non andavo volentieri. Poi ha cominciato a piacermi, prima da sola, poi con te ma erano altri tempi. Hai presente quella commessa nel negozio di gelati? Che faccia buffa aveva, buffa e grassa ma era buffa proprio perche’ grassa, grassa e tonda, grassa, tonda e paonazza.
M: Si, la ricordo…
S: Pero’ a modo suo era bella, grassa ma bella. Anche la dirimpettaia di mia madre ha quella faccia, grassa, tonda e paonazza. Forse non e’ bella ma va daccordo con mia madre anche se non credo siano mai andate insieme a passeggiare in centro e se l’hanno fatto io non c’ero gia’ piu’. E’ da tanto che non sento mia madre. Credi dovrei chiamarla? E se poi mi chiede di andare in centro? Oddio spero di no, spero proprio di no. Non e’ che verresti tu con me? Almeno avrei una scusa per dirle di no. Accidenti che complicazioni per un giretto innocente, tanto per fare, cosi’ per non stare continuamente qui ad annoiarsi. Ho voglia di luci, di case e anche di un gelato. Ti andrebbe un gelato?
M: No grazie ma tu vai e se proprio vuoi di’ a tua madre che vengo con te, cosi’ non ti assilla.
S: Non voglio mentirle, non le telefono ma non voglio mentirle. Sto qui, qui a casa con te. Va bene?
M: Certo, va bene.
S: Va bene…

Accresciuta percezione delle cose

Potrebbe essere tutto sbagliato, l’idea stessa di civile evoluzione un inganno perpetrato ai danni di quella stessa umanita’ che doveva essere difesa, tutelata, protetta.
Protetta da chi se non dalla fratricida guerra con la propria natura, istinto da qualcuno giudicato orrendo nemico, deleteria minaccia invero difesa non attacco, energetica propulsione contro immobilismo vera morte della specie perche’ forza nasce da tumulto, arte da dolore, civilta’ dal fango dei primordiali istinti mai placati, mal placati.
Unica utopia possibile e’ equilibrio tra forze non annullamento, logica degli istinti non anestetica abolizione, tumultuoso esistere non patetico controllo foriero di stabile immobilismo di giorni senza vittorie, senza bisogni, senza sangue quando sangue e’ essenza, non assenza di vita.
Tra dolore e silenzio nessun compromesso quindi, nessun accordo, alcuna mediazione?
Credo in difficile convivio, addendi continuamente opposti, mutevoli e viscidi di difficile controllo, presa che sfugge senza riuscire a gestire completamente ma del resto non e’ forse cosi’ il giorno, il contatto estraneo di voci e corpi e lingue e pensieri ed idee altrui, comuni e non comuni, fraterne nelle nemesi che circondano, avvolgono, talvolta soffocano dalle quali eppur si sopravvive, a volte si lotta e tornare a casa e’ un po’ vincere, forse feriti, forse esausti ma cosa saremmo senza, cosa definirebbe il muscolo che spinge quel volto a specchiarsi con occhi bene aperti, curiosi, desiderosi, silenziosi e nella penombra persino fieri.
Non conosco il domani ma nell’umano mondo, qualcosa e’ andato perduto, valori ed energie rimaste impigliate nelle pieghe della follia attendono un uomo, forse un popolo, magari un’idea, una di quelle da confondersi col sogno che diviene pensiero, che diviene movimento, trionfale marcia, storia eterna.
Ricordate questo giorno uomini
perche’ questo giorno e’ vostro
e lo sara’ per sempre

Caduta felice

Contemplazione di possibile risposta senza domanda, autoanalisi nel silenzio forzato, voglia di difendere, spiegare, minimizzare o ampliare, deformare senza stravolgere, definire e raccontare.
E’ come muro di tastiere con troppi tasti, troppe note, accordi non sempre assonanti, poche dita, mani leggere e canzoni di difficile esecuzione, complesso tappeto sonoro, partitura che a stento riproduco tra note dimenticate, melodie scordate, riff improvvisati a volte efficaci altri banali e scontati.
Comunicare se’ stessi con cuore confuso in spazio ampio ed arioso, poca intimita’, bassa resistenza alle intemperie, pioggia battente, riassetto non sempre efficace, talvolta inutile, confuso ed ermetico.
Grandi nuvole scure in contrasto al marmo lucente che sotto i piedi sostiene ed avvalora, pietra dopo pietra ho costruito e un poco rinnego senza malizia, senza dolore, inevitabile sfoltimento di emozioni ed anni che accumulatisi pesano come macigni, rallentano e persino pensare pare fatica incommensurabile.
Volgo lo sguardo oltre il mare, oltre l’oceano, oltre l’esotico lontanissimo e sconosciuto, sorpreso ed incantato, estasi potrebbe darsi indotta ma quale stupendo inganno ed e’ difficile spiegare, far valere proprie illusioni.
Stupido e’ cercar dimora dove casa non c’e’ ma dov’e’ invero questo luogo sicuro ambito, desiderato se ogni mattone diligentemente posato, con violenza calcio lontano da me con disprezzo e rabbia?
Destino di girovago pragmatico, paria in societa’ nella quale impero con pugno fermo, radici in antico dolore, forse solo ingannevole stratagemma per non crescere, per non mollare presa su poco, tanto, non c’e’, non importa ma e’, resta qui, c’e’ sempre stato, desiderio bambino, unico sole e timore di perdere quel bagliore sola guida, consolazione, certezza di essere, di restare, di resistere.
I come back…come back
you see my return
my returning face is smiling
smile of a waiting man…

Attraverso viaggio

Ci sono rughe come specchi, riflettono volto non tuo ma che potrebbe essere, che forse e’ se solo si usassero altri occhi, nuova visione d’inconsapevole nascondersi e vedere crescere ciascuno il proprio annullarsi e’ bambino che d’improvviso si fa uomo, scoperta che restringe confini, cala drappi scuri e pesanti su desideri irrealizzati, sordina su entusiasmi non del tutto recisi dall’alba rumorosa.
La rabbia, quella di ognuno, fanciullesco stadio evolutivo e’ dimenticata nel gesto sicuro, esorcizzata nella pacca amichevole, nel sorriso complice, nella battuta compiacente eppure aria sa di amaro quando ricordi strisciano nei discorsi di parola in parola piu’ infangati e dolorosi.
Poi non e’ vero, poi non accade, c’e’ cielo e cielo, nuvola e nuvola, tempesta che sa di liberazione altra di oscurita’ e plumbea sfumatura di azzurro diviene arte persino, pietoso inganno che ancora funziona, per ora funziona ma dubbio stringe ricordi ed emergono frasi udite e dimenticate, altre battute, infinite occasioni.
Ogni pensiero ha la propria scatola e chiodi e martello e sudore per sigillare e nascondere ma non esistono rampe, nessun piano inclinato, banditi angoli che non siano retti perche’ evoluzione e’ trauma, crescere e’ gradino mai moto progressivo in universo discreto in posizioni predefinite e preordinate.
Pochi passi e questo e’ esistere, senza avviso si avanza, meno di un soffio nel respiro del cosmo, nessuna incognita, variabile costante se non fosse biglietto di corsa mai effettuata, qualcuno dice sfortuna, chi definisce fato, ancora codardia disprezzabile o gesto dal rango divino.
Ancora una volta m’affidero’ all’istinto, sentiro’ il silenzio del vento, attendero’ un sogno che forse oggi non mi salvera’, girero’ le spalle alla virtu’, cantando la stessa canzone di sempre saro’ mantra, preghiera, urlo.
You may live through your life a long long time..
But you will never know from where it came,
Yet all you’ve seen is what you’ve wanted to,
You’re walking forward as you look behind,
Still watching those old memories fade and die…

Nascita di pleiadi liquide (parte II)

Mi sveglio e non ho alcun pensiero, assurdo silenzio al quale non sono abituato, passi confusi in immenso vuoto, potenziale tutto, reale nulla e so che nervi non capiscono, mente non realizza, shock vicino ma del ciclone ora appartengo al centro esatto e manca aria sull’arso marmo striato.
Posso mangiare, so di poterlo fare e mentre l’anta si apre davanti a me, so che quella e’ l’ultima volta e d’improvviso le gambe cedono con sordo dolore da inerzia respinto, incredula constatazione che male salira’ dal basso, profondo niente, inezie microscopiche come di valanghe che crescono e travolgono.
Strana fretta, quasi frenesia, andare, dove, andare, dove, andare dove e ricordo che e’ pianificato, deciso, brillante e semplicissimo come aprire una porta, scendere due rampe di scale e non sentire altro rumore che non sia asfalto e correre, nuova preghiera d’epoca di deboli creature, sottofondo e silenzio in moderno concilio, espiazione il cui prezzo e’ distanza, partenza senza arrivo perche’ non e’ mai muoversi, solo fuggire.
Pioggia, forse sole, umido si umido, gocce che non sento ma abiti pesanti sono vincolo dal quale fuggire ma rido felice, un po’ di piu’, un po’ di meno, qualcosa strilla, richiama attenzione, cerca udienza, umile pieta’ dello sconfitto ma basta non ascoltare, agitarsi, muoversi veloce, pensare piccole cose mentre conato d’orrore sale, sale velocemente ma rido, si rido, mani precise, sguardo un po’ meno e il campo visivo e’ un’onda chiara e confusa da evitare, da aggirare e saluto e scappo e rido e corro e non ce la faccio piu’ ed esausto e’ incubo, si incubo, sbagliato, sbagliato, sbagliato.
Scrivo e qualcosa esce, qualcosa guarisce, sapere che e’ solo inizio ma e’ inizio, collocazione temporale di universo finito e raccolto, insieme circoscritto nel quale posso contare i giorni che passano, gli incubi che fuggono e se c’e’ inizio allora fine e’ da qualche parte, laggiu’, laggiu’, forse con me, forse di me.
Restiamo ancora in questo stato di completa alienazione,
senza nome e senza una definizione
e tutto cio’ che nasce senza una ragione
accuratamente allineata a un tempo di principio e fine…

Limite visibile

Io non sono cosi’, no io non sono cosi’, tu sei cosi’ nell’inversione di ruoli e prospettive ed errore e’ attribuire falsa diversita’, vera anomalia, giusta differenza, aderenza a qualcosa che non so, no non so.
Rubicone senza alcunche’ da trarre ma mie onde alfa lontane, sono lontane, lontane, risonanza di sordo diapason, distorta oscillazione, escono, fuggono e muoiono infrangendosi come onde che erodono ma non distruggono, non piu’ esistono ma non si fermano, non hanno pace e rimbalzano, nulla assorbe, niente prosciuga.
Pulsa e resta tremore nemmeno tanto impercettibile, base di basso cadenzato e profondo piega silenzio, deforma spazio e retta e’ ellisse, vetta lontana lontana e sparisco disintegrato in pulviscolo che non so raccogliere, non posso raccontare, schegge finite chissa’ dove ma sul muro riflessi multicolore, abbaglianti conferme, silenziosi dinieghi, stratosfera, aria, aria lontana, troppo fredda, troppo fredda.
Io sono cosi’, io non sono cosi’, io dovevo essere cosi’ e non importa perche’ la luce e’ spenta da tempo, energia conservata a perdere nell’inutile raccogliere e di cosa dovrei scusarmi, quali scelte offrire se non essere o restare, scivolare o rotolare piu’ in la’ dove c’e’ sole ed ombra, erba e cemento, plastica e nuvole.
Qui no, qui fumo stantio che ancora respiro con troppa gioia, scritte sbiadite su muri diroccati, caratteri sbavati di preghiere ed inni, immensi concetti che presto saranno annullati e seppelliti e dimenticati e chiusi in capitoli che non meritano essere letti, due risate, leggero sospiro di memoria lontana, rievocazione giusto il tempo di sbadigliare.
Essere e sia se cuore batte ma non lo sento perche’ sentire fa male, sentire e’ voce di donna troppo lontana, raggio di sole da raccogliere inginocchiati, urlo di strofa arrabbiata che toglie ulteriori parole a vita troppo diversa, a vita che e’ cosi’, che non e’ cosi’, che non poteva essere altro che cosi’.
Light comes through a crack in the door
I tape up the windows once more
Tight like a cold hand of steel
Don’t fear the stranger within

Etiologia

Moltitudine di corpi che riconosco uno ad uno, sollevato osservo dalla distanza, luogo generico e sicuro, controllore irresponsabile e certo plano nell’oblio degli infiniti me, io ripetuto, primordiale se’ evoluto come per gioco, quasi magia, stregoneria forse, sortilegio di dubbia provenienza, privilegio incerto.
Davanti, indietro, in mezzo e c’e’ storia ovunque guardi, per ogni dove mi giri ma l’ordine non e’ sparso dove ultimi irrealizzati momenti, innanzi illusioni di sempre protette da mura oltremodo piu’ alte, in progressione piu’ possenti, ogni momento piu’ massicce e minacciose.
Stanco di ripercorrere medesime frasi, solite opacita’ che mai diverranno trasparenze, troppe promesse all’attonita legione che stancamente non segue, non decide, non muove ma deambula attonita, arresa per sopravvenuta mancanza di concreto senso, di giusto cammino, deviate passioni, spogliate arroganze.
Per quanto infinito spiegato all’orizzonte, questa e’ terra gia’ calpestata e se nessuna consolazione allora e’ rinnovato rammarico di parole che non escono, sorrisi abortiti su labbra sigillate, dita che non toccano e muoiono inerti su suolo gelato, occhi roteano impazziti, timorosi, in cerca di tutto perche’ nulla e’ cio’ che serve davvero, ciechi in parvenza d’umana forza, questione di attimi lunghi come millenni, silenziosi come stagni ghiacciati, inutili strumenti di giornate piene di sole che mai hanno veduto, calore di sola astrazione ricavata da troppe parole ed immagini.
M’induci a cercarmi per ammettere cio’ che si vede quando banalmente e’ cio’ che si e’, residuo di ricordo, scarto di lontano dicembre, freddo umido di condizione non stato e da troppo tempo minaccio e non attuo discesa tra innumerevoli, confondersi e mescolarsi, simile nel simile, uguale nell’infinitesima distanza delle differenze, nessuna alternativa nell’espressione suprema di combinazione dell’esistenza e nella gola riarsa far rimbalzare una sola parola: basta.
Io ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei ma non ha il diritto di chiamarmi assassino.
Ha il diritto di uccidermi, ha il diritto di far questo, ma non ha il diritto di giudicarmi.
E’ impossibile trovare le parole per descrivere cio’ che e’ necessario a coloro che non sanno cio’ che significa l’orrore.
L’orrore ha un volto e bisogna farsi amico l’orrore.
Orrore.
Terrore morale e orrore sono tuoi amici ma se non lo sono, essi sono nemici da temere, sono dei veri nemici.

Nascita di pleiadi liquide

Mangio, sorrido impettito tra posa e forza che trattiene, guardo tv e partecipo, commento, esprimo nella luce non troppo potente, comunque osservo, mi guardo attorno sempre piu’ circospetto al limite del panico, angoscia che sale e ignoro blocco allo stomaco perche’ e’ conquista, vittoria glorificata con cibo, mio cibo che doveva avere altro gusto, nuovo sapore, meraviglia e stupore.
Seduto con orgoglio non mi rilasso perche’ sdraiarsi e’ caldo che viene da punto imprecisato delle viscere e ottimo audio evidenzia angoli di legno perfetto, lucido, scelta oculata e precisa di colori tenui ed equilibrati.
Ignoro punto di distorsione ai margini di campo visivo; immagino, immagino, incubo collaterale, collaterale, collaterale.
Il grande specchio riflette fierezza, mani e acqua sul volto, esito un istante di troppo ma non c’e’ fretta, mai stata fretta e con manopola il freddo e’ caldo e caldo e’ freddo, immerso nel bianco e luce, simmetria kubrickiana nell’iperrealta’ roboante che trascina materia in leggerissima nebbia, sogno, incubo, sogno incubo, sognoincubo.
Entro nella stanza e trattengo il fiato, chino il capo al mirare giochi e passioni in perfezione commovente, desiderio e leggero disprezzo lanciato alle mie spalle, rotonda luce, rumori di strada, citta’ viva, viva, viva, io dentro a qualcosa che non so, non importa, forse dovrei, potrebbe essere, certo sara’, abitudine, notte, scale, luna, insetti.
Buio opprime eppure c’e’ del giusto nel mio sonno, rombi vicinissimi e respiro pesante che parte da pensieri inquieti senza toccare mani e piedi immobili, raggelati in spazio che si contrae, trappola che si restinge, silenzio come eco del frastuono, fragile rotazione che non conduce a niente, non risolve niente, non muove niente.
Non rimane solo questo ma questo e’ cio’ che merito, stabile perdita d’equilibrio, fuga lontano, lontano, lontanissimo tra colonne del mondo che trascinate via distruggono e affondano, paura, destino, orrore e verita’.
Io ho avuto, io sono stato.
It’s too bad, but that’s me
What goes around comes around, and you’ll see
That I can carry the burden of pain
‘cause it ain’t the first time that a man goes insane