…too few to mention…

Un passo ed e’ un passo pesante di quelli che scuotono fronde di alberi contro tramonti incendiati, contro umani perduti e si scuotono le stelle al di la’ della luce, si frantumano pianeti color smeraldo, si aprono oceani e nuovi dei trovano dimora tra polvere e cenere e calce e cristallo a pezzi sotto piedi nudi.
Un passo ed e’ uno nuovo in direzione che non so, forse avanti, forse indietro, forse laddove non sono mai stato e non importa perche’ ogni luogo e’ sconosciuto, ogni salto ultimo che mai potro’ compiere e alla fine morte, in fondo vita, nel mezzo un eterno precipitare ed e’ quell’eternita’ a dare forza, a muovere muscoli, a rendere leggero corpo stanco, sempre piu’ stanco, sempre piu’ stanco, doppia voce, coro ed e’ innanzi e urla e soffoco e trovo un senso o mi pare forse di avere la chiave di una porta che mai ha sbarrato la mia strada eppure un giorno mi sono spostato o rimasto pietra, non so dirlo se buio e’ dentro, se buio e’ fuori, se tutto si mescola e confonde declinandosi in stanza di orologi fermi, di tempo assente, di canzoni immutabili, di vibrazioni tra ossa e stomaco e nessun pensiero, nessun dolore, ignorare, ignorare, evitare, salto in quella voce e se doppia diviene tripla, decuplica e sa Dio se solo fosse abbandono, se solo sapessi urlare cosi’ forte, cosi’ maledettamente bene da rendere ogni stanza di questo universo senza tempo, senza il consapevole lascito di umanita’ che ricordo di aver avuto, di aver amato.
Un passo e non li conto, non li definisco, non li catalogo in un quaderno rubato troppo tempo prima e che piu’ ho voluto ricreare, ripensare tra automobili squadrate e buffi capelli di casa che battezzo unica, sola perche’ li’ ho dormito, li ho mangiato, li’ smarrito e mai ritrovato e cio’ che ho chiamato maledizione invero ha forgiato acciaio e tagliente lama, niente s’avvicina, tutto sfugge spaventato ed indefinibile non lascia dormire, non fa parlare, solo ricordare, emozione che non son riuscito a contenere, a sorridere sopra, a dire di essere e di avere, cerchio mai chiuso ma del resto non e’ forse questa la vera eternita’?
What can I say
I don’t want to play anymore
What can I say
I’m heading for the door
I can’t stand this emotional violence
Leave in silence
Leave in silence

Orfico

Cammino instabile e non vedo fine alla superficie ghiacciata sulla quale mi trovo.
Come bambino scivolo e corro, cado e mi rialzo, un po’ di dolore, tagli qua e la’, molto freddo, molto caldo fintanto che sudo e m’agito e sole pare tramontare nel superbo blu di cielo figliato da malinconico Dio e non so che ore siano, ho perso il tempo, ho perso orientamento, ho perso bisogno di bisogni e non importa fintanto notte lontana, gelo immagine di film e camino acceso, solitudine incubo di bambino che smarrendo la madre comprende essenza del mondo.
Silenzio ed e’ il proprio, respiro disegna arabeschi innanzi e non vola e non precipita e non ha forma ma so a che assomiglia, vento saluta senza farsi sentire e stormi fiabeschi inseguono nuvole troppo stanche per fuggire in un momento epico, nella mistica mai perduta se solo non vi fosse umanita’ destinata a stelle lontane o abissi di terra in fiamme e in fondo che importa, nulla muta davvero se si sa guardare cosmo coi giusti occhi, coi giusti ritmi.
Di questa terra non conosco storia, non vedo altra geografia oltre bianco compatto, aria gelata, inamovibili giorni, stasi di unico ed eterno accordo curvato e ripiegato, talvolta confuso con altri suoni eppure mai smarrito, rimasta guida, bussola di solo nord perche’ unica e’ la meta per quanto celata e mai narrata perche’ e’ esattamente questo il nodo, punto oltre il quale le logiche divengono fili d’oro ben tesi e lucenti, normali giochi di vita, epici cavalieri al fianco quotidiano per non sbagliare, per non smarrirsi, per non sentirsi troppo unici e troppo soli.
Fermarsi, correre a perdifiato, salti d’impronte profonde, occhi chiusi o aperti, illusione, illusioni e non in questa terra senza anima, senza spiritualita’, solo invenzioni, sole inventato, anarchica energia eppure in trappola, eppure debole nell’apparente forza, nella consumata voglia di fuggire, nella preghiera senza incenso, nello sguardo che fatica ad alzarsi, nella mano che non sa accarezzare, non piu’ e tenebra e ombra e ginocchia a terra resto, resto qui perche’ questo e’ inizio del momento, inizio del silenzio.
Loco! Loco! Loco!
Cuando anochezca en tu portena soledad,
por la ribera de tu sabana vendre’
con un poema y un trombon
a desvelarte el corazon.

Di-nologo

Qual’e’ la canzone del tuo giorno? Tante diverse lo so, ma gli accordi, si gli accordi cosa ispirano, a che luogo conducono? E la testa, quanto fa male aprire gli occhi oltre il necessario oceano di desideri rigorosamente irrealizzabili, tenacemente silenziosi, umili quel tanto che basta per spalancare occhi increduli innanzi al deserto di carne e cemento, scivolando irrequieti tra inutili discorsi e grigi fallimenti quotidiani ed inevitabili.
Voglia di dormire, voglia d’imparare, studiare senza leggere, senza pesante leggerezza di inutili parole vicine per inerzia, per denaro, per politico spiegare un mondo sempre diverso o sempre uguale solo quando non serve, mentre non e’ necessario, elettronica, elettronica, elettronica salvezza di suoni remoti e dimenticati, inutilmente immensi, palestra d’antica ed inutile foggia laddove statico e’ virtuoso e dannoso e’ trasgressivo.
Piccolo theremin, sintetico spaventoso amico, che sia tuo quel giorno tanto agognato, se fosse in te principio e fine, diritto e dovere di qualcosa che per forza cerco ed evito, montagna imperscrutabile e angoscia montante come fitto bosco all’imbrunire, raggi di stelle che non sanno scaldare, soltanto indicare possibile salvezza, forse alternativa fine.
E la mia, si la mia canzone oggi non ha melodia, irriconoscibile tracciato e note come inutili macchie nere su foglio rigato, piu’ silenzio che onda, come fischio che si perde nell’impossibile della notte, nel copioso sudore che impedisce dormire, nella solitudine che mi domina e separa dalla voglia di umanita’ e nulla mi giustifica, forse lamento patetico ma sincero puo’ raccontare, puo’ servire, puo’ aggiungere pezzetto grigio di grigio ritratto svelando grandioso sfondo con minuscola figura indistinta e sfocata sulla quale e’ inutile strizzare gli occhi, comporre versi e giudizi.
Per il resto non so, quanto resta non e’ piu’ qui, cercare oltre, proseguire, proseguire, la via e’ scorrevole e ben illuminata ma oltre, oltre queste colline, lontano da nebbia ed erba tagliata, nel laggiu’ eccessivamente lontano per chi imprigiona canzoni nel cuore, per chi confonde accordi con aria da respirare e respirando fa di questo esistere.
Dico del mio silenzio indiano
un dialetto di lontani specchi
e nuvole parlanti, e’ cosi’
che scrivo io…