Pendolo

Se cessasse il rombo di tutti i timpani del mondo allora nessun cuore avrebbe piu’ senso nel battere, mestiere di vivere e raccontare storie per chi solo vuol ascoltare noiose storie vissute e stropicciate, cadenti e decadenti, statiche quanto basta per rifugiarsi in forme e colori, inerti eppure molto molto espressive.
E’ che si giunge sempre al momento in cui formule si bloccano all’altezza del cuore e nemmeno sangue pare trovare pertugio in cui passare e inizia a mancare qualcosa e quel vuoto fa male, quel vuoto toglie vita e forze, fiume asciutto verso il mare, verso un nulla, parvenza di un ricordo, di un bisogno antico, di illusione che e’ stata aria e ramo slanciato in un cielo azzurrissimo, vento incapace di fermarsi, di sussurrare se non urlare forte e maestoso e furioso e osceno.
E’ che si dubita, si dubita di tutto nella spasmodica ricerca di variabili a cui attribuire valore, significato e con esso senso e compiutezza, trasposizione d’oggetto, di soggetto, di locazione in uno spazio mobile, anima statica e solitaria perche’ qualcosa deve muoversi e senza riferimenti puo’ essere sogno, puo’ essere visione di qualcosa che e’ rimasto dietro, sorpassato ma non dimenticato, solo nell’oggi, solo nella notte, solo nel freddo come impronta in fresca neve con sguardo verso luce fioca ma presente, un piede avanti all’altro dentro alla consuetudine quando non e’ tale, in mezzo al fuoco che non e’ mai eterno eppure incapaci altrimenti non si vivrebbe diversamente.
Ho preso dodici chitarre e le ho suonate al ritmo di quei timpani, tamburi miei, solo miei, solo miei, solo miei quando non posso scordare, mentre qualcosa si spezza, altro si riempie, forse comprende e brucia la gola mentre penso potrebbe persino bastare, forse finire, magari uscire imprecando contro foto impolverate ed appiccicose, vetri poco spessi, pozzi molto profondi, neve che non doveva sciogliersi cancellando cosi’ passi infine troppo lontani, strada smarrita, strada perduta, rimpianto, furore esausto, mano immobile, piu’, mai piu’.
io e’ un altro
lo zero non esiste
niente e’ nulla
tutto e’ mio

Prima zona

Un uomo a terra, un uomo cammina, un uomo tocca le stelle.
Distanziati da un singolo infinitesimo punto sono fantasmi sovrapponibili e sorridenti, ognuno una strada, ognuno una missione, ognuno un destino eppure restano indistinguibili, inseparabili, alla mente unico ricordo, confusi, mescolati, perplessita’ e mistero del quale indifferente, ignoro.
Direzioni diverse, mezzi lontanissimi eppure una domanda lega destini talmente divergenti da avere per forza qualcosa in comune, almeno un seme germinato in terreni diversi, con diverse ambizioni.
Domandarsi dove sia la ragione, la direzione, complementarieta’ degli opposti o anni gettati da qualche parte, in discariche emotive, sacchi neri ed ordinati, orrenda fila di cui essere spettatore o artefice, confusione di ruoli e ancora un cerchio che si chiude, spalle che si stringono, mani che proteggono da luce abbagliante.
Intrappolato in quotidiana gabbia di vulcanizzato chiarore, scorgo qualcosa che anomalo cammina, forse scivola nel veloce flusso delle cose, polvere su polvere, asfalto su asfalto, desiderio di camminare contromano, contro flussi, riflussi e doveri, un giorno di violini senza solisti a coprire, a primeggiare, ad isolare un concerto che e’ solo nella mente, nelle notti senza sogni, nelle pagine bianche di libro mai scritto.
Ancora una volta non riesco ad invidiare coprendomi di bigia cenere, come se colore fosse insana corsa, come se strisciare fosse nuvole e mangiare terra, cielo brillante e nel torto ho ragione, nell’errore perseguo universale giustizia, senso di logica vita che trascende mode e periodi e se nell’unico dimora il tutto allora la sola algebra domina l’universo, successione immensa ma non infinita di somme e null’altro perche’ oltre l’unione di unita’ esiste un oceano e in quell’oceano una terra e li’ un luogo in cui le parole finiscono, i pensieri si fermano, il dolore un ricordo, un’impressione.
My life passes before my eyes
And only now I can see…
Obsessive thoughts made me forget
Simple things just like live…

Nell’approssimato dispari

Straccio lenzuola esauste, brucio un fuori, segno tangibile di realta’ che non appartiene a nessuno tantomeno a me, alberi che non crescono, non s’espandono, non inciampano nel legittimo desiderio di abbracciare ogni pietra, ricoprire strade e colline, oscurare astri e nuvole.
Strano, strano modo d’esistere, come frase ripetuta all’infinito, parole che perdono significato divenendo impastati suoni, mantra che e’ racconto, novella d’illusione e se v’e’ trasformazione e’ nel persistere di concetti che alla pari di fluidi viscosi, scivolano tra le pieghe della ragione comandando e definendo la realta’, ridisegnando pregresso, racconto di un passato destinato a sparire se non nei sogni, forse altro ancora da scoprire, romanzo perduto ma non del tutto dimenticato, non ancora sepolto, celato ingegno inesistente.
Sono abitudini, abitudini di provenienza lontana, come ancestrali ricordi sospesi tra mito e risveglio, come vapore che disperso nell’aria notturna muta in foschia lunare, rugiada gelata, irripetibile conformazione atomica, materia non materia, arma di delitto mai compiuto, mai pensato, mai concepito.
Sole attrae e torpore lenisce ferite incapaci di chiudersi, gioviale convivenza in fondo, abitudine, troppa abitudine ma non c’e’ sale su carne viva, non c’e’ quel soffio di vento che increspa pelle e notti, buio oramai pieno di mostri noiosi ed estranei, fastidio e irritazione, ipersensibilita’ al nulla imperante, nascondiglio di ben altri irrealizzati desideri.
E’ che alla fine e’ rientrare in stanze normalmente illuminate eppur cieche nel bagliore esterno, istinto e memoria di muri e corridoi, senza discernimento, senza piano preciso, forse vaga espressione dell’arrivare in fondo, del trovare un traguardo, meta solo fantasiosamente ambita, irreale cammino di qualcuno che ha solo ipotizzato un riparo, stabile tetto e se tutto e’ diverso, se tutto infine scompare poco importa, come sempre del resto.
Open the doors that lead on into eden
Don’t want no cheap disguise
I follow the signs marked back to the beginning
No more compromise

Verve

Difficile persino desiderare, improbo gesto, archetipo da ignorare e mai piu’ seguire quando trucco e’ correre, correre a perdifiato osservando poco, fermandosi meno, meta ambita domani, sempre domani, ancora domani.
Domani e superare il dubbio del domani che verra’, domani e sara’ ancora domani fino a quando faccia al muro, affrontare o perire in scelta inesistente, incosistente, inganno che potrebbe ma non si sa mai, non scommeterei, non giudicherei con eccessiva severita’, con immeritata superficialita’.
Sempre piu’ sottile, impalpabile barriera che separa idealizzato silenzio con programmato caos, vendetta di chissa’ quale dio malvagio in terra rossa, cielo crepitante fulmini e oceani in rivolta, malsana genealogia di nuvole troppo alte, pioggia di gocce pesanti e dolorose e attente a colpire duro, a fare male, a spezzare voglie di quanto potrebbe avvenire.
Attesa sempre meno attenta ed e’ trovarsi in cattedrale deserta, osservare enormi colonne di marmo e sangue a reggere volte imperiose ed inutili, cupola che nasconde stelle senza proteggere da esse, enormi finestre esaltanti luce esterna senza illuminare ambienti cupi carichi di polvere sospesa, particelle come scintille, abitanti di fatato mondo, stato di esistenza, permanenza, ambizione di energia che diviene materia fine a se stessa, utile ad osservare, scarto ininfluente e per questo importante, tranquilla, felice.
Ogni tempo rimane comunque definito nella percezione di omologhi adiacenti, disperdendosi nel soggettivo antico e moderno, congruo e sconveniente cosi’ come fruscio puo’ essere magico assolo nel frastuono e sinfonia puro caos in giornata rabbiosa e maledetta e fosse immaginazione allora cadrebbero leggere parole ma nel frattempo il verbo si fa carne, mesi cani rabbiosi e affamati, pareti tenera sabbia ed osservar girare la ruota, sempre piu’ sorriso va a grande e triste giostra, patetico manufatto, inutile a tutto eccetto che al cuore e al suo tramonto.
This world is helpless…
I descend… I flee
To sympathize for their souls;
You have to humanize me

Ottica gemella

Ho provato ad alzarmi e quasi crollo a terra, necessario restare molto lenti, scambiare dominio del tempo con morbido e caldo pavimento, ascoltare sangue pesante e denso sempre piu’ lento, sempre piu’ stanco e gia’ una mano giace immobile, l’altra s’arrabatta in movimenti sempre meno coordinati, sempre meno sensati.
Potrebbe essere grave segnale, doloroso indicatore di limite oltrepassato eppure e’ strana rappresentazione di quiete, basilare energia che consente poco piu’ di vivere di minuto in minuto, di ora in ora e il resto sia calore in atmosfera fredda ed umida, qualcosa che non aggiunge, qualcosa che non toglie, qualcosa che accarezza il niente.
Torpore m’avvolge suadente, sinuoso e strisciante su pelle arida, arrendevole desidero persista piu’ a lungo possibile senza riflettere, senza questionare, mare placido che esaudisce e sorride nei basilari bisogni di chi e’ uscito dalla competizione anche solo pochi istanti, come finestra improvvisamente spalancata su asfissiante stanza fumosa, acre odore che fugge spingendo lontano aria viziata, falsi miti, negative strutture, inutili discussioni.
Scopro che umane dimensioni vengono definite da urgenti bisogni e una volta cadute implodono volumi e distanze, staccano lancette, spengono luci in eterno notturno soffuso, buio glaciale carico di riflessi e bagliori, lampi di cio’ che e’ lontano, di quello che dovrebbe e fortunatamente non e’, mescolato bisogno d’indefinibile silenzio.
Sento legame proporzionalmente inverso alla distanza e cio’ e’ bene, altra sicurezza, ribellione in fondo a umana inettitudine, ingestibile montagna di verita’ cosi’ alta, immensa ed inutile massa urgentemente da liberarsi, gettare e fuggire, fuggire nel centro esatto d’inopportuno suono costruito nei cavi, nel rame, nell’elettrico elettronico, in un desiderio inquieto ed irrealizzabile, moto parallattico d’apparente vivacita’ in prospettiva sognante, in terra inesplorata, in occhi grandi e stupefacenti come la vita, la vita che dovrebbe.
Heres a good one
Did you hear about my friend
He’s embarrassed to be seen now
‘Cause we all know his sins

Corpo perlaceo

Muro, possente muro che allontana, separa, divisione e protezione anche se cosi’ detto traspare inestistente paura perche’ esistono distanze che rafforzano sensazioni e decisioni, esaltazione di idee e consapevolezza di ragione senza arroganza perche’ certi pensieri sfociano in filosofia, come fluido amico di gravita’, come tempo fedele a fisica inviolabile, rara certezza, sicurezza di fuoco, ghiaccio, acqua.
Incurante proseguo su finita strada che in fondo non importa dove termini perche’ c’e’ traguardo mobile ma non finale, non conclusivo, forse non distante ma prematuro e’ riflettere, banale strizzare occhi per un laddove inutile sul laterale, bordo che ancora desta sorprese, ancora con forza e’ luna per lupo affamato, malgrado tutto selvaggio.
Quindi perche’ definire se non e’ chiaro cio’ che sta fuori e cosa dentro, chi intrappola chi, quale superficie eccelle sull’altra, dove siano nuvole piu’ veloci e leggere, quale cielo conti piu’ stelle e dove la notte faccia meno paura.
Oggi staziono dove non conoscere domina, nel punto esatto pero’ in cui emozioni note e scontate divengono arte e fascino, lacrime caldissime e meravigliose di sconfinata gioia, indomabile senso d’infinito e appartenenza a frammento rotolato da qualche parte ai bordi della consuetudine, dell’abitudine, fuga da mortale noia, indicibile e letale quotidiano figlio di detestato ordinario, conflitto mai combattuto eppure vinto e per questo privilegiato.
Posso toccare cedevole maniglia, riesco a vedere, posso scegliere mossa e direzione nel gioco i cui turni sono infine giunti a me, eppur platealmente, senza eccessiva sorpresa, m’allontano con odiosa flemma mentre pedina immobile, avatar ansioso e insoddisfatto resta sgomento al posto mio, cristallizzato in gioco troppo piccolo per lui, poca aria, poca aria, poco soffitto, incrostazioni impossibili da eliminare.
Inutile combattere blasfemia se fede e’ stato della mente, riposo dell’anima, turbolenza riservata e cio’ che resta nel cuore insonne del buio, lenzuola stracciate, alba vicina, eccessivamente vicina.
Cold and misty morning, I heard a warning borne in the air
About an age of power where no one had an hour to spare,
Where the seeds have withered, silent children shivered, in the cold
Now their faces captured in the lenses of the jackals for gold.
I’ll be there

Ali imperiose

Importa? Importa davvero? Se si dove conduce, a che porta, quale raccolto, quali conseguenze, quale esito?
Disfatta, vittoria, indifferenza, difficile dirlo, ininfluente dirlo seppur difficile non farsi schiacciare dal peso di ombra proiettata oltre i giorni a venire, futuro alimentato da chissa’ quale carburante, da chissa’ quali voglie, propulsione destinata all’eventualita’, alla casualita’, a pindarici voli, correnti ignote.
Improvvisamente torpore, voglia di rannicchiarsi e proteggersi con immagini, suoni, parole, reazione istintiva, scontata a ben vedere perche’ anima possiede geografia, topologia, morfologica conformazione che tempo smussa ed arrotonda senza cambiare veramente, senza distruggere, forse mutare, forse spostare, forse ricerca di qualcosa di meglio che in fondo poco cambia, poco si distanzia da originale rifugio.
Potrei persino avere torto perche’ niente c’e’ da sapere, nulla sorprende se si esce da logica di tavoli lontani sui quali attendere conforto e consolazione anche se ricerco tenacemente quell’affermativo da troppi interrogativi sepolto e calpestato, deriso pare, latte mai versato ma sporco ovunque, caos incontrollato, confusione, confusione tra cio’ che e’ stato fatto e non, detto o meno, urlato o soffiato delicatamente lontano.
Qualcosa non torna ma invero vorrei io non tornare, non sentire alcun richiamo, nessuna latenza emotiva, insabbiarmi in spiagge dalle quali non rivenire, rifugio di vento e pioggia e sole e bandiere e strade contorte ed essere solitario ingranaggio, saluto sporadico ma cordiale, riconoscibile chiunque da cui non dipedendere ma contare.
Non e’ lasciare alle spalle, magari lancio alla cieca in qualche direzione, scomparire lasciando innumerevoli tracce, infiniti indizi, suggerimenti facilmente seguibili, impossibili ed indecifrabili pero’ se carichi di passato inutile e dannoso, se volonta’ e’ ordine, se vecchia mente mente, se nuova mente latita, se cuore solo innato meccanismo.
If I only had a potion
Some magical lotion
That could stop this
I would set the wheels in motion

Peculiare

Quanto c’e’ di giusto nel voler gettare il proprio tempo, nel desiderare scorra velocemente sino al prossimo nulla di fatto, giusto al momento in cui spreco si aggiunge a spreco, delusione a stanchezza, senso d’inutile a fastidiosa essenza di poco, di niente, di finito e scontato.
In effetti e’ troppo pretendere, inutile desiderio di brivido controllato, interruttore che potrebbe divenire paradosso se in qualche modo esistesse e se cosi’ fosse, inutile e negativa prova che nulla e’ fuori, tutto risiede e si adagia in un luogo sovente buio e polveroso, unico dolore, unica salvezza.
Tue tenebre sono mie tenebre, luce come dardo infuocato, proiettile al centro esatto di ogni tempo, punto convergente d’universi e realta’ dove comunque ogni scelta e’ sbagliata perche’ felicita’ e’ oltre ogni ambizione, oltre rombo di un tuono che da troppo ha abbandonato fulmine generatore, perduto eppur innocuo, incute timore in chi s’illude di temerlo, spaventa semplici e modesti, intrappola di scontato terrore, meglio nasconde quindi altre voci, altri richiami, diverse ambite trappole in acquario caldo, accogliente rifugio per chi non vuole, per chi non puo’, per chi non sa.
Allora sia fuggire nel tempo se spazio e’ gioco di prestigio, unica direzione e velocita’ poco variabile e comunque sa di riparo, discorso generico su cio’ che avverra’, che forse sara’.
Osservo e ristrutturo, senza creare, senza distruggere, giornaliero mattone, singolo metro, unico passo, perche’ importa non stare fermi, importante il contatto, il tocco, il giusto peso da assegnare o ascrivere a ben precisi canoni, esatti termini ed e’ difficile quando le parole non bastano, quando cio’ che dico e’ sepolto in campo sconsacrato, terra arida e incoltivabile, qualche sentiero noioso da percorrere e destinazione che neppure io so piu’ cos’e’, non riconosco, non riconosco piu’, non vedo piu’, non domando piu’.
Inseguito non inseguire.
I saw a picture of a stranger but I don’t understand.
He had a ring around his finger and something burning in his hand.
And I wanted him to teach me and I needed to believe.
But the shadows that he threw me were intended to deceive.

Ritorno alla presunzione

Incontrollabile istinto di protezione induce a contraddirmi, smarcare pensieri ed impressioni scoprendo aspetti giudicati positivi non fosse coinvolgere e convogliare improprie giacenze, sedimenti che e’ bene stiano adagiati su fondo, immobili, pacifici, inermi, inerti, inutili ma quello e’ luogo, loro rifugio.
Affronto nuovi interrogativi, considerazioni banali eppure inediti almeno nell’approccio, certo nell’insolita direzione che trasversalmente serpeggia tra alternative e possibilita’, un laggiu’ piu’ vicino di quanto possa apparire.
Mi domando se implosione possa essere riversamento di materia e pensieri in deviato altrove, mi chiedo se costante allontanarmi non possa rappresentare avvicinamento a singolare e nuovo mondo perche’ in fondo orientamento e’ relativo sempre e comunque a punto mobile, decisione mai perentoria, talvolta sofferta, sovente accettata, non troppo di rado subita, a tratti casuale ma solo in analisi incompleta e parziale.
Gerarchizzare obiettivi puo’ essere stratagemma per contenere l’incontenibile, mura interiori che si proiettano ed espandono verso un infinito esterno che se osservato da serratura finisce per essere minuscola stanza, relegato anfratto di modeste dimensioni, poche ossessioni, generiche voglie, ambizioni azzerate e silenti.
Vi sono porte che non si chiudono mai completamente, non si aprono mai del tutto, stretta entrata, stretta uscita, pertugio che appare piu’ stile che spazio, filosofia di un desiderio che vuole qualcosa di nuovo, inedita speranza.
Trovo difficile soffermarmi troppo su cio’ che in apparenza poco conta, sfiorata o nessuna traccia ma in fondo e’ un gioco per avere tracce attorno alle mie, pedinare ed essere pedinato, rincorsa come antico svago, sapore, forse colore di tutti i giorni e tutti i giorni goduto, ma come spesso accade, le sfumature formano ed arrotondano perche’ la realta’ non e’ mai composta da linee marcate semmai nuvole, nuvole o polvere.
No falling for life
A gain for every loss
Time gathered me
But kept me flying

Profondamente assoluto

Parole scritte come pazzi animali giu’ per ripida collina sulla quale anche cadere e’ piacere ma un po’ e’ rimandare, un po’ sviare, placido quando e’ coltre di fumo, mantello sgualcito sempre d’effetto eppure trasparente per chi sente magari senza fermarsi a simboli, paradigmi che talvolta rappresentano loro stessi, metalinguaggio certo, musica che comunica ascoltandoci paziente perche’ ancora una volta in essa c’e’ grammatica e sintassi.
Esistono limiti, certamente autoindotti ma e’ decenza a parlare, e’ battaglia persa contro standard accettabili, accettati, giusti perche’ no, nel senso ampio di modo e genere che trascende parole e ridicole rivoluzioni, e’ ritorrno costante uguale a prima, a sempre, forse condito di televisori al plasma e connessioni digitali ma vi sono confini nei quali e’ bene confinarsi, circoscriversi, stringersi forte malgrado pugni e urla possano essere prezzo salato.
Oltre cio’ altri recinti di braccia e gambe e sembra tappa obbligata di umanita’ stanca di dovere, oblio di potere, onnipotenza alogena, carcassa alla ricerca che qualcosa la scopra, la sorprenda, le strappi carne dal corpo e se non migliore, almeno resa diversa.
Non si esce per merito, fato avverso o amico certo, eccesso di stupidita’ o lucida visione opposti ma indifferenti allo scopo, esterna visione di bianca luce da pioggia freddissima eppur liberatoria, purificatrice acqua che conserva forti, mantiene vigili, irradia certezza, consapevolezza che eppur fa male, malgrado tutto ferisce.
Non si fugge dalle gocce quando fitte come sono si possono indossare come abiti, seconda pelle, prima emozione, mistero di fantasmi eterei in sostanza, caldi come carezza nelle notti in cui si vacilla e ogni onda attraversa prima gambe, poi cuore, infine occhi che a fatica cercano, ascoltano, sospirano, vagano eppure immobili, esempio o meta non saprei, perche’ sapere e’ avvicinarsi, forse non trovare, ma almeno e’ tentare, provare, chissa’ forse riuscire.
The indolence of solitude may drive out the soul of its sermon,
and memory shall be lost to the blood which hopelessly pulsates…
…in our excruciating hearts