Eleganza controllata

Nero, inchiostro nero su pagina nera ecco cio’ che scrivo, dove scrivo e mani inguantate smorzano sensibilita’ e tatto diviene artificiale sensazione, finto percepire, immaginazione che compensa sensi e voglie, desideri e bisogno di una eternita’ rapita, mancata, piu’ volte evitata a questo punto rassegnata.
Non tutte le porte possono essere aperte, vi sono stanze senza luce ed elettricita’, freddo e se non freddo umido, polvere gia’ depositata e pesante, grigio e antico ordine che sa d’abbandono voluto, mai forzato perche’ abbandonare e’ scelta o codardia, costrizione solo occhi sigillati in corsa cieca nell’illusione che nulla termini mai, che ginocchia reggano ogni sforzo, ogni movimento, ogni scatto che prescinde il gesto e la ragione.
Non tutte le pareti proteggono e finestre talvolta celano fuori da dentro, rosso selciato ora immaginato, viola vestito pieno e morbido, scambio che non costa eppure non gratuito ma dita spossate non vogliono contare e altre parole non vogliono uscire, desiderano senza sforzi ne’ fatica, aride di storie, annoiate da storia, partecipano a rito d’individuale confuso con pubblico ludibrio perche’ si esiste solo in altrui occhi, esclusivamente in altri discorsi come fossimo riflessi, ombre, proiezioni, invenzione di un insieme che annulla individui e divora passioni finalizzandole e epica fuori luogo e fuori contesto, nascondendo realta’ rifrangendola e scomponendola in frammenti a miliardi.
No, non entro, non ora, parte timore, molta indifferenza, poca speranza, semmai fermarsi a lungo schiacciati sul fondo, luogo umido ma silenzioso, eppure caldo e a suo modo accogliente ed e’ facile non avere altri pensieri se non i propri, infinito tempo in minuscolo spazio per abbracciare singoli piaceri, immortali necessita’ che si ergono su rottami di modernita’ abnorme e sfiancata, futuro che sa solo guardare avanti e non alto, bassa prospettiva che rasenta volonta’ di nulla, desiderio sempre meno proibito, sempre meno scontato.
You walk in a room and the world stops to stare
You mesmerize all who are caught in the glare
of the spotlight that follows wherever you go
does it light up the emptiness

Concrete

Ricordi sonori non attutiti mi calmano, tempesta non inquieta oltre eppure brivido caldissimo spinge a calma riflessione, misurato movimento e considerazione che paure perenni cicatrici senza dolore ma all’occhio presenti se giusto angolo, se decisa voglia di scoprire, un po’ imparare, molto interesse, qualche morboso avvicendare di voglie.
Puo’ forse prima immagine essere assenza di luce, finestra aperta su chiarore intenso di citta’ e pianto disperato per assenza, non di scoperta e paura, puo’ cupola di rete avvolta liberare e non intrappolare terrore ed incubi.
Piano piano cappa scura scende sul volto, pesante fardello su martoriate dita e musica ferisce, non piu’ del solito, non meno del normale, puntura e un po’ di sangue, viva testimonianza, viva presenza, viva conferma, non ho metodo, non ho altro metodo e ancora so risolvere, ancora mi sento lento, percepisco soffio di lentissime ore, giorni mai sazi, ricerca di termine e non di inizio testimonia disagio e falsa aspettativa, motivo in piu’ per proseguire verso stella abbagliante ma nessun calore, milioni di colori, una forma, infinite canzoni, unica voce.
Improvvisamente cessa ogni suono, caldo soffio in freddo inverno, voce d’acciaio che appare stanca anch’essa, poco alla volta orientata a cambiare discorso, a celare rimorso, a stringere prima cuore e poi mano in un racconto che non convince e non sa donare tranquillita’ alcuna, alcuna voglia di proseguire e combattere.
Forse andare, non cercare con sguardo bianco macchiato nero, plastica opaca e decadente, sorrisi falsi e deprimenti, bacio che non so perche’ alieno, fastidio, fastidio, tedio e colori a poco a poco desaturati.
Fotografia non mia, indecente e decadente, stile d’altra rappresentazione, radice ed estremo ramo perche’ nuvola e’ roccia stanca di osservare in silenzio e cosi’ volo, poi luna, infine stelle, lontano viaggio, vicino addio, costante presenza di forza e ombra vicino alla quale riposare, osservare, tentare riproduzione, cercare benedizione, meritare bisogno, ambire a velocita’ per smarrirsi una volta di troppo, una volta e mai piu’.
Again we dance into the fire
That fatal kiss is all we need
Dance into the fire
Two fatal sounds of broken dreams

C’e’ mancato poco che non succedesse mai

Io non ho, io non possiedo, non so quanta conscia scelta, quanto disegno ad occhi bendati su un foglio cosi’ grande da non vedere fine, cosi’ bianco da rimanere attoniti ed abbagliati, cosi’ caldo da fermarsi a mani tese e palmi abbassati, fermarsi, fermarsi un poco di piu’, un giorno in piu’, un silenzio in piu’.
Io non ho, io non ho un luogo, quieta stanza perche’ non so vivere nel silenzio, non so viaggiare tra stelle col vuoto a separarle, col tempo a consolarle, col buio a proteggerle e il mio cuscino e’ un’orchestra di oro e diamanti, note che straziano, note che fanno male e lasciano dietro pensieri di luoghi che non sono qui, che non so, che non devo, che fanno paura a pensare non esistano, nel pregare che dietro quella tenda scura vi sia passaggio.
Io non ho, io non vedo, non vedo piu’ eppure questa mia vita e’ fatta di immagini e colori, conseguenti forme mai troppo delineate, linee accennate, sfumature si sfumature e grigi a calare nel punto esatto in cui l’immaginazione declina in spazio che circonda, nella stanza dell’immenso sempre, in un mondo che si perde allo sgurdo e per questo piccolo, inutile, fuggevole, distante un solo urlo da qui, dalla fredda finestra che non trattiene calore, non separa gelo.
Io non ho, io non posso fermarmi e in questo resto immobile, lascio vibrare le corde sapientemente pizzicate da chi sa farlo, da chi puo’ farlo e in parte e’ controllo, soffio che assomiglia a carezza e mi lascio andare, so farmi sorprendere, posso girare attorno ad un raggio di sole e costruire nuova vita, Dio di un solo istante quando tempo e’ ancora tutto da inventare, da comprendere, da definire lungo linea forse immaginata e comunque reale.
Io non ho, io ho tutto cio’ che serve ma non so servire all’onda incessante di un mare che non oso vedere, non posso raggiungere e guardo cosi’ le mie mani perche’ possano raccontare di una strada solo sognata, di un tramonto racchiuso in quattro lati minuscoli e ridicoli, futuro malamente costruito, futuro che dovrebbe terminare, terminare adesso.
Un tempo, un tempo…
C’mon and save me
Why don’t you save me
If you could save me
From the ranks of the freaks
Who suspect they could never love anyone